Hai presente quando stai facendo un pic-nic in montagna in una calda giornata d’estate e tu sei disteso e rilassato sopra ad una grande coperta, all’ombra di un pino maestoso, con il cinguettio di piccoli uccelli che cantano e ti cullano fino ad addormentarti?
Poi d’improvviso ti svegli, hai un certo languorino, ti alzi, apri il grande contenitore che hai vicino a te ed estrai un panino a tre strati, che contiene tutti gli ingredienti che più ti piacciono e lo addenti, lo mastichi, lo gusti fino a raggiungere la piena soddisfazione delle tue papille gustative.
È proprio lì, in quel momento, che ti vien da dire “che benessere”!
Che cosa significa precisamente benessere?
Nel dizionario troviamo una serie di definizioni, che corrispondono all’uso del vocabolo in differenti contesti.
Il benessere è uno “stato felice di salute, di forze fisiche e morali” o una “condizione prospera di fortuna, agiatezza” o ancora una “sensazione soggettiva di vita materiale piacevole” (Treccani)
Se chiedessimo ai nostri padri, nonni o bisnonni che cosa significa per loro “benessere”, probabilmente risponderebbero che è una condizione legata allo star bene, al poter garantire per sé e per la propria famiglia tutto il necessario per poter vivere in modo sereno, persino agiato.
Per il mio papà (il nonno di Giulia e Anna), ad esempio, garantire il benessere al proprio nucleo famigliare è stato l’obiettivo che ha mosso la sua vita di adulto. Ricordo in particolare che il suo “stare bene” consisteva nell’avere la tavola imbandita nei giorni di festa, poter acquistare un cabaret di pasticcini per rendere ancora più significativa un’occasione speciale, sapere che ogni membro della famiglia godeva di buona salute.
Esistono, quindi, molteplici ambiti che riguardano il benessere: oltre a quello alimentare ed economico, appena citati, ci sono quello ambientale, legislativo, lavorativo, famigliare ed anche scolastico.
Proviamo a fare un esperimento. Chiudi gli occhi, fai un bel respiro, svuota la mente, pensa alla tua esperienza scolastica (che stai vivendo o hai vissuto). Quali sono le immagini che la tua memoria fa emergere? Che cosa provi? Quali emozioni vi sono legate?
Se le sensazioni affiorate ti fanno sentire bene, ti fanno sorridere e addirittura provare nostalgia per dei bei momenti passati, allora significa che hai provato sulla tua pelle il benessere scolastico.
Al contrario, se ciò che hai sperimentato durante questo esercizio è stato disagio, ansia, fastidio, preoccupazione o malessere fisico, vuol dire che il tuo stare a scuola è stato segnato in modo continuo da emozioni negative. Anche se non è consolante, sappi che molte persone hanno provato ciò che è successo a te.
Studi recenti sul livello di benessere e malessere nelle scuole italiane hanno rivelato che il 27% dei ragazzi intervistati stanno “così così”; il 73% sta male e, all’interno di quest’ultima percentuale, il 60% sta male stabilmente (D. Lucangeli, 2020).
Perché questa sofferenza a scuola?
La questione è complessa e le cause molteplici.
Un primo motivo consiste nell’inadeguatezza del carico cognitivo. Siamo ancora di fronte ad una scuola che tende ad ingozzare di contenuti i propri studenti, trascurando i diversi stili di apprendimento e i tempi necessari ad ognuno per poter apprendere, richiedendo performance insensate: si predilige la quantità alla qualità, minando letteralmente l’equilibrio del carico cognitivo.
Un’altra causa è costituita dall’alert: compiti, verifiche, interrogazioni, giudizi, pagelle tengono gli alunni in un continuo stato di ansia e percezione di non essere in grado di reggere il compito.
Ancora, vivere a scuola è legato più a emozioni negative che positive. Gli studenti, infatti, provano, oltre che alla paura e all’ansia, un senso di colpa e/o noia, perché non si sentono all’altezza delle richieste scolastiche e/o non godono di stima e fiducia da parte degli adulti di riferimento.
Tuttavia, nemmeno gli insegnanti se la passano troppo bene.
Le ricerche dimostrano, infatti, che il malessere è vissuto anche dal mondo adulto che vive a scuola. I docenti dichiarano di essere stressati a causa del grande carico di incombenze a cui sono sottoposti, di sentirsi spesso abbandonati da dirigenti e Ministero, di non sentirsi importanti per il sistema sociale.
Morale della favola? Siamo tutti sulla stessa barca!