“Troppo ho rinviato questo mio scrivere sulle lacrime … è giunto il tempo”.
Non so se è capitato anche a te, ma lungo tutto il mio tempo-vita ho notato un certo disagio generale di fronte alle lacrime.
Un bambino che piange viene preso in braccio e distratto perché possa smettere al più presto: “guarda che farfalla meravigliosa sta volando in cielo”, “che bella la ruspa, dai, andiamo a vederla”, “non è successo niente, non piangere, prendiamo un biscottino”.
Una mamma che partorisce e abbraccia per la prima volta il/la suo/a bambino/a: “perché piangi proprio adesso?”, “non dovresti piangere, dovresti essere felice”.
Due fidanzati che si salutano e si abbracciano stretti, perché sanno che staranno lontani per un po’ di tempo: “tornerà, lo sai, non serve piangere”, “non sparirà dalla tua vita, lo rivedrai presto, fra qualche mese ci sono le vacanze”, “togli le lacrime, questa è una prova per capire se è vero amore”.
Sono convinta che tu potresti proseguire senza sforzo con altri esempi contornati da frasi ad effetto.
Sin da quando ne ho memoria il mio vivere è stato ricamato con le lacrime. Ho sempre sentito tanto, spesso troppo. Sono entrata nelle scarpe di qualcun altro tante di quelle volte che ho perso il conto. A volte è stato difficile, altre illuminante, altre ancora doloroso, in alcuni momenti persino insopportabile.
Molte primavere fa sono stata descritta come una persona fragile perché troppo sensibile: “hai sempre le lacrime pronte in tasca”, mi si diceva. Al tempo ci soffrivo per questo, poi, con il passare degli anni, ho metabolizzato che questo dire era un modo bizzarro per definire l’essere empatici.
Credo che una delle cose più coraggiose e difficili da fare sia accogliere l’altro da noi così com’è, permettergli di stare nell’emozione che sta vivendo, dando appoggio e conforto “semplicemente” rimanendogli accanto in punta di piedi. Se siamo capaci di questo allora possiamo iniziare a sentire il racconto di ogni singola lacrima.