Ti sei mai chiesto perché a volte non riesci a comunicare come vorresti? Quanto sei consapevole dell’importanza dello sguardo, dei gesti, dell’ascolto, del contatto per rendere efficace comunicare e stare in relazione con l’altro? Come usi la tua voce mentre comunichi?

Il corpo è docente è un manuale davvero interessante che offre spunti significativi e strategie risolutive a comuni problematiche comunicative, che interessano tutti coloro che si occupano di educazione.

15 min.

TRAMA

Il corpo è docente è un vero e proprio manuale, composto da 8 capitoli, che trattano di aspetti differenti di un unico fondamentale processo, quello comunicativo.

Gli autori, attraverso un linguaggio chiaro ed esempi pratici, desiderano fornire ad insegnanti, genitori, educatori, formatori “semplici” ma fondamentali informazioni, consigli e strategie per divenire o ridivenire ascoltatori attivi, comunicatori efficaci, costruttori di relazioni educative profonde con gli altri.

Spaziando dal contatto visivo, alla modulazione della voce, all’uso strategico delle mani e del corpo si può essere in grado di “leggere” l’altro da sé e capaci di perfezionare le proprie competenze comunicative, per raggiungere gli scopi educativi e formativi più profondi …”o, per meglio dire, per prendere in mano la nostra vita professionale” e, perché no, anche quella personale e sociale.

RIASSUNTO

CAPITOLO 1 – ALLA RICONQUISTA DEL CONTATTO VISIVO E DELLA CAPACITÀ DI OSSERVARE

Quanto può essere importante guardarsi negli occhi?

Fondamentale, rispondono gli autori di questo libro.

Il contatto visivo è in grado di scatenare emozioni, che incideranno in maniera indelebile sul processo di apprendimento di un individuo: connettersi in modo corretto con l’altro da sé significa muovere emozioni positive, che accompagnano l’apprendimento.

In questo primo capitolo viene anche spiegata la Joint Attention, ossia quando un soggetto guarda un altro soggetto e poi gli restituisce lo sguardo.

Per garantire l’attenzione congiunta, servono due abilità: la capacità di seguire lo sguardo degli occhi ed la capacità di individuare l’intenzione. Attraverso questo tipo di scambi comunicativi, la persona in crescita acquisisce capacità linguistiche, comunicative e sociali.

All’interno dell’ambito educativo è fondamentale capire quale sia il modo giusto di interagire con gli studenti, conoscere il codice del corpo, per poter entrare in una relazione educativa profonda ed incidere in modo significativo le memorie riguardanti i processi di apprendimento.

In questo primo capitolo viene anche spiegato il Progetto “B612”, coordinato dalla professoressa Lucangeli e da Patrizia Granata. Esso riguarda la proposta di un modello educativo ripensato a livello affettivo, emotivo e relazionale per i bambini 0-6.

Per gli autori è fondamentale sottolineare come la formazione di genitori e insegnanti sia strettamente legata dall’essere ostacolo o facilitatore del percorso di colui che apprende: “chi aiuta il bambino cambia il suo potenziale di sviluppo: per farlo è fondamentale comprendere cosa significa ‘aiutare’ e come si aiuta” (D. Lucangeli, L. Vullo).

Ciò che si vuole evidenziare, al di là della messa in luce della letteratura scientifica, è l’eccezionalità di un approccio empatico-relazionale positivo. Se vogliamo aiutare i bambini a sviluppare al meglio il loro potenziale e a rendere il loro percorso formativo sereno ed efficace, dobbiamo disattivare le emozioni negative, creare situazioni costruttive, incoraggiando emozioni positive.

Come fare?

Riconosciamo innanzitutto ai bambini il diritto all’errore; in secondo luogo stabiliamo un rapporto di fiducia; impariamo ad essere un genitore/docente alleato con il bambino contro l’errore.

Tornare a guardare gli alunni/i figli negli occhi, stabilire un contatto visivo profondo permette, quindi, di legare le emozioni che producono benessere alle informazioni che si fissano nelle memorie permanenti.

Al termine del capitolo ci sono quattro problemi con tre “semplici” esercizi da fare per poterli risolvere.

CAPITOLO 2 – RIEDUCHIAMOCI ALL’ASCOLTO

In questo secondo capitolo viene “sviscerato” il mistero della comunicazione.

La comunicazione non è un semplice passaggio di informazioni da un emittente ad un ricevente, ma è una vera e propria interazione tra soggetti diversi, che presume anche una certa cooperazione tra essi.

Un elemento fondamentale del processo comunicativo è l’ascolto. Esso è “l’arte di sentire con attenzione, di prestare orecchio con interesse a quello che qualcuno ci dice e a tutto ciò che ci circonda” (D. Lucangeli, L. Vullo).

Lo stile comunicativo, ossia il come una persona comunica, rivela molti aspetti del comunicatore stesso: l’energia che impiega, la sua forma fisica, l’importanza che attribuisce a ciò che sta comunicando.

La comunicazione interpersonale è costituita da una relazione costante ed influente tra gli interlocutori e comprende la comunicazione verbale, la non verbale e la paraverbale.

Gli autori evidenziano come un buon insegnante sia attento e ricettivo rispetto ai segnali che l’ambiente scolastico emette. Riuscire a “leggere” il clima di classe significa comprendere i bisogni e aiutare gli studenti, trasmettendo al contempo entusiasmo per il proprio lavoro.

Esistono delle strategie che si possono apprende ed allenare: usandole si può essere ascoltatori efficaci, conoscitori del proprio interlocutore (attenzione agli “shock culturali”), rispettosi dei tempi e dei momenti di silenzio altrui, attenti nel chiedere spiegazioni se non si è sicuri di aver compreso bene e riepilogare il messaggio seguendo una sequenza di punti-chiave.

Al termine di questo capitolo ci sono due problemi con due tipologie di soluzioni.

CAPITOLO 3 – LA VOCE È IL NOSTRO MERAVIGLIOSO STRUMENTO MUSICALE

Qualsiasi persona che lavori nel campo educativo dovrebbe essere consapevole che usare in modo corretto la propria voce, sapendola modulare, determina la riuscita di una conversazione oltre che consolidare la fiducia e la sicurezza in ciò che si ha da dire e rafforzare l’autostima.

Un elemento fondante di una comunicazione efficace è l’attenzione al tono di voce. Se si parla usando un monotono, ad esempio, sicuramente si otterranno una noia mortale e uno stato insonnolito da parte di chi ascolta. Il tono di voce trasmette il tipo di relazione che si vuole instaurare oltre che l’interesse, la motivazione e le emozioni di chi sta parlando: dare vivacità e colore al discorso sarà sicuramente una carta vincente per la riuscita comunicativa.

Molto di ciò che comunichiamo arriva all’interlocutore attraverso la sfera paraverbale. La comunicazione paraverbale, infatti, attraverso toni e ritmi, permette di veicolare e di “significare” il messaggio.

All’interno delle scienze della comunicazione, la comunicazione intersoggettiva è caratterizzata da quattro elementi: il sistema paralinguistico, il sistema cinesico, la prossemica e l’aptica.

Il sistema paralinguistico, in particolare, è l’insieme dei suoni emessi nella comunicazione verbale ed è composto da tono, frequenza, ritmo e silenzio.

Per riuscire ad emettere la voce e pronunciare correttamente le parole vi sono organi ed apparati che si coordinano in un atto davvero complesso: le labbra, le arcate dentarie, i denti, il palato, la laringe, i polmoni, i centri nervosi, i muscoli, le corde vocali e così via. Conoscendo la complessità con cui si produce la nostra voce, “dovremmo lavorare per avere una voce che sorride al mondo” anziché sprecarla.

Unire, poi, il sorriso all’emissione vocale abbatte le distanze e lega emotivamente gli interlocutori: la potenza della voce sorridente è fondamentale nei rapporti affettivi/formativi con le persone in crescita.

Essere dei buoni comunicatori, nella professione docente e genitoriale, significa ascoltarsi e comprendere se il ritmo con cui si parla è facile da seguire o meno, se è carico di emozioni positive o magari di nervosismo. Se si è nel momento del “fiume in piena”, per poter rallentare il ritmo sarà sufficiente prendersi un istante per fare cinque/sei respiri profondi ed inserire delle pause di silenzio all’interno del discorso. Questo permetterà agli studenti/ai figli di rimanere attenti ed assimilare le informazioni, mentre chi comunica non perderà il controllo della situazione.

Al termine di questo terzo capitolo ci sono tre problemi con sei esercizi che potrebbero risolverli.

CAPITOLO  4 – IL POTERE MAGICO DELLE MANI

Le mani “dicono”, esse sono un eccezionale mezzo di espressione che aiuta la parola, a volte la sostituisce, altre volte ancora la contraddice.

Chi nasce e cresce in Italia è avvantaggiato nell’apprendimento di una gestualità davvero ricca e significativa. Molti gesti che facciamo spontaneamente nella vita quotidiana li abbiamo imparati dal contesto sociale a cui apparteniamo.

La gestualità simbolica, ossia il significato condiviso che hanno alcuni gesti in una determinata cultura, è immediata, conduttrice di un significato ben preciso, spesso più convincente delle parole. Si deduce che è necessario ripensare la comunicazione con le persone in crescita, mettendo in pratica tecniche e modalità comunicative che attirino la loro attenzione e che permettano di entrare in empatia.

Usare le mani diviene strumento comunicativo indispensabile fin dai nostri primi momenti di vita; esso è preparatorio allo sviluppo comunicativo e del linguaggio.

Diverse ricerche hanno evidenziato come le capacità motorie precedano ed influenzino lo sviluppo linguistico e come, nei primi anni di vita, ci sia una “profonda continuità tra gesti comunicativi e comparsa delle parole” (D. Lucangeli, L. Vullo).

Il movimento delle mani è accompagnato anche da altre parti del corpo (spalle, braccia, viso, etc.), tanto che studi recenti sulla comunicazione rivelano l’importanza della coerenza tra i vari gesti e le parole emesse. La congruenza tra segnali del corpo e le parole offrono a colui che parla autenticità e credibilità: doti essenziali per un leader, una persona carismatica, un educatore.

Al termine di questo terzo capitolo ci sono tre problemi con altrettanti esercizi che potrebbero risolverli.

il potere magico delle mani

CAPITOLO 5 – GESTUALE VS DIGITALE: CONNETTIAMOCI SENZA WIFI

In questo capitolo si affronta lo stravolgimento improvviso e profondo di tutte le nostre vite, causato dalla pandemia, iniziata nel 2020.

Con l’avvento di questa eccezionalità, c’è stato il diffondersi del digitale nelle case e nella quotidianità di tutti noi, portando in qualche modo la scuola dai bambini/ragazzi. La DAD (Didattica A Distanza) ha però ampliato il divario socioculturale tra ricchi e poveri, allontanando di molto l’aspetto inclusivo. Molti bambini e ragazzi più fragili, con BES o disturbi dell’apprendimento o disabilità sono rimasti indietro.

L’obbligatorietà ad adattarsi all’uso della tecnologia come unica fonte di comunicazione ed educazione, ha inoltre mosso emozioni negative come lo stress, l’ansia, la frustrazione, la paura.

Di contro possiamo dire che l’emergenza ha spinto verso un cambio repentino nel fare scuola, spingendo processi creativi e rinnovando le metodologie e gli strumenti usati nella pratica quotidiana.

Da questa esperienza è stato assodato anche che la connessione interpersonale, fatta di empatia, sguardi, gesti, posture, pause, etc. non può essere vissuta in modalità digitale.

Parlando di digitale, proprio gli iGen (nativi digitali) spesso possono confondere la realtà concreta con la realtà virtuale; quest’ultima, per giunta, “illude il cervello ed elimina il senso profondo della relazione”. La relazione “io-io”, responsabile del processo educativo, viene sostituita spesso da un dispositivo elettronico, innescando una serie di effetti disastrosi sul processo cognitivo, affettivo, relazionale delle persone in crescita.

Quali possibili effetti del digitale sulle vite dei nostri bambini/ragazzi?

L’aumento del tempo-schermo porta alla manifestazione di sintomi di disagio sia fisico che psicologico: insonnia, disturbi dell’umore, ipertensione, vertigini, emicranie, ansia, autolesionismo, comportamento suicidario sono degli esempi. La dipendenza dai dispositivi elettronici e dalla rete creano spesso crisi di astinenza, aumento dell’ira e/o dell’apatia. L’isolamento sociale, gli Hikikomori, il cyberbullismo sono fenomeni non così rari ed in continuo e costante aumento nel sistema in cui siamo immersi.

Che cosa fare?

Certamente recuperare la capacità di relazionarsi in modo positivo e profondo con l’altro, mettendo al centro di ogni nostro agire il ben-essere dei bambini  e ragazzi; bisogna iniziare a concentrarsi su come raggiungere una connessione più autentica possibile con l’umano.

Al termine di questo capitolo ci sono quattro problemi con un paio di suggerimenti per poterli  risolvere.

CAPITOLO 6 – NUTRIRE L’INTELLIGENZA EMOTIVA PER CRESCERE INSIEME

Educarsi alle emozioni significa essere in grado di educare alle stesse.

L’alfabetizzazione emozionale permette di apprendere meglio e in modo più profondo, migliorando i risultati a scuola; inoltre consente di divenire persone empatiche, che sanno ascoltare in modo attivo e sanno assumere il punto di vista dell’altro; per di più “una giusta educazione alle emozioni permette di prevenire, o arginare, l’insorgere di fenomeni come il bullismo o il disagio giovanile” (D. Lucangeli, L. Vullo).

Per essere un docente competente non basta possedere un bagaglio di contenuti e tecniche; è necessario, infatti, sviluppare l’intelligenza emotiva, che permetterà di costruire e mantenere relazioni positive e di essere riconosciuti a scuola come leader carismatici.

Studi recenti sull’intelligenza emotiva dimostrano che esiste un funzionamento integrato warm-cognition, che permette lo sviluppo di competenze personali (la consapevolezza di sé, la padronanza di sé e la motivazione) e di competenze sociali (l’empatia, il saper comunicare, la capacità di gestire i conflitti, saper collaborare, etc.).

Nel nostro cervello si trova l’amigdala, responsabile dell’archivio della memoria emotiva. Quando percepiamo un’emergenza fisica o emotiva, il nostro cervello va in allert ed entra in modalità autoprotettiva. In questo stato le funzioni cerebrali complesse vanno in stand-by assieme all’intuizione creativa e alla pianificazione a lungo termine. Nel contempo si dà avvio alla produzione di ormoni dello stress (in particolare il cortisolo), che “mangiano” le energie necessarie alle funzioni cognitive. Fortunatamente esistono i neuroni inibitori, che calmano l’amigdala e ne bloccano le direttive. Questi ultimi, però, hanno la necessità di essere allenati e ciò è possibile grazie a quelle competenze legate alla padronanza del sé, all’autoconsapevolezza.

Come fare ad allenare queste competenze e mantenersi in equilibrio?

Certamente una buona strategia è trovare una tecnica di rilassamento quotidiana (ognuno può trovare la propria); un altro strumento può essere quello di introdurre delle pause antistress durante compiti complessi, che causano pressione; nutrire la propria autostima e la fiducia, in modo da costruire attorno a sé una certa affidabilità; sviluppare un buon grado di adattabilità per poter gestire i continui cambiamenti.

Anche l’empatia aiuta in questo arduo compito. Sentire dentro significa “mettersi nelle scarpe dell’altro”, ma vuol dire anche promuovere lo sviluppo altrui valorizzando le abilità senza secondi fini; ancora, anticipare, riconoscere e soddisfare le esigenze degli altri; guardare le diversità come opportunità. Empatia, ascolto attivo, osservazione e “lettura” dell’altro, ottimismo sono tutti elementi necessari per essere un adulto centrato, soddisfatto e competente.

Al termine di questo sesto capitolo ci sono tre problemi con cinque esercizi utili per poterli  risolvere.

tecnica di rilassamento quotidiana

CAPITOLO 7 – IL MONDO È UN TEATRO E LA SCUOLA È UNA PALESTRA DI VITA: SIETE PRONTI AD ENTRARE IN PARTECIPAZIONE PIENA?

Nella vita quotidiana, più o meno consapevolmente, si indossano delle maschere, ossia si assumono comportamenti “su misura” della/e persona/e a cui ci si sta rivolgendo.

Alcune professioni più di altre richiedono una buona capacità recitativa, ma essere un docente significa, contemporaneamente, essere attore e regista. Ogni giorno l’insegnante, che si reca a scuola, ha di fronte a sé una platea-studenti da “intrattenere e convincere” (in realtà il compito è ancora più complesso, come si è visto anche nei capitoli precedenti), ma ha anche l’incarico di “gestire e coordinare un gruppo di lavoro con un ruolo attivo e interattivo” (D. Lucangeli, L. Vullo).

Su cosa si deve lavorare, quindi, per essere un bravo maestro, che sappia comunicare il sapere nel modo migliore, diventando un role model per i propri studenti?

Bisogna innanzitutto “essere sul qui e ora” per poter garantire coerenza tra il nostro comportamento e il nostro pensiero: in questo modo potremo comunicare agli altri fiducia e autenticità. Prima di entrare in classe potrebbe essere una buona strategia quella di assumere con il corpo una posizione di potere, che ci caricherà anche di entusiasmo: è bene ricordare che “il nostro corpo plasma la mente e la mente il nostro comportamento” (D. Lucangeli, L. Vullo).

È altresì importante prestare attenzione ai gesti che si compiono con le mani: imparare ad usare gesti positivi aiuterà certamente a comunicare in modo efficace a scuola e non solo.

Gestire il tempo in classe come fosse uno “spettacolo interattivo”, inoltre, permetterà di avere stabilmente la consapevolezza dei sentimenti del pubblico, mantenendo il controllo della situazione-classe.

Un buon metodo è rappresentato dalla drammatizzazione. Essa è costituita da un esercizio di rappresentazione di un racconto o fatto storico, fatto attraverso il gioco interattivo, la simulazione di ruolo, il mimo o un mix di gesti e parole.

La drammatizzazione, usata in ambito scolastico, ha lo scopo profondo di far raggiungere il benessere personale e sociale alle persone coinvolte.

Al termine di questo settimo capitolo sono elencati un paio di problemi con cinque possibili soluzioni.

CAPITOLO 8 – GLI ALUNNI NON SONO DEGLI ALIENI VENUTI SULLA TERRA PER DISTRUGGERVI!

La professione docente è estremamente complessa e necessita di numerose competenze che esulano dalle caratteristiche contenutistiche.

Come fare per affrontare ogni giorno questo grande compito-missione?

La cosa fondamentale è non farsi schiacciare dal peso delle incombenze e frustrazioni, prendere in mano le redini degli avvenimenti, non farsi travolgere, ma trasformare gli ostacoli in opportunità.

Detto questo bisogna comprendere in modo profondo le diversità e differenze che colorano ogni gruppo-classe, così da poter strutturare il progetto didattico in modo da soddisfare i bisogni di ciascun allievo.

Numerosi studi riguardo ai disturbi del neurosviluppo hanno dimostrato che l’ambiente ha un ruolo di fondamentale importanza nello sviluppo neuronale del bambino: esso “è in grado di trasformare il nostro fenotipo, tanto in senso fisiologico che patologico, inducendo continue modifiche epigenetiche reattivo-adattive” (D. Lucangeli, L. Vullo).

In sostanza tutto ciò che noi viviamo sulla nostra pelle, ciò di cui facciamo esperienza, ciò che subiamo, sentiamo, pensiamo dipende sia dalla componente biologica, che, in larga parte, dall’ambiente in cui siamo immersi (famiglia, scuola, ambiente, cultura, società).

Si può ben comprendere come l’ambiente-scuola giochi un ruolo fondamentale non solo sull’apprendimento, ma anche sullo sviluppo del potenziale umano e, di conseguenza, sulla salute di milioni di bambini. In questo preciso step il docente può fare la differenza. Egli può scegliere di essere giusto e dare a ciascun bambino ciò di cui ha bisogno, può cambiare approccio se quello in uso non funziona, perché, al di là degli acronimi che possono irrigidire (PEI, POF, PTOF, GLI, GLO, PDP, DSA, BES, ADHD …), “non c’è disabilità più grande che non riuscire a vedere le abilità di una persona perché si è troppo concentrati a notare le sue disabilità” e non c’è insuccesso peggiore che quello fatto dal perseverare con i propri “metri di misura” consolidati, ma che non funzionano nella vita di classe.

Al termine di quest’ultimo capitolo sono elencati un paio di problemi con due suggerimenti pratici molto utili per poter risolverli.

TEMI DEL LIBRO

  • Emozioni e apprendimento
  • Emozioni primarie e secondarie
  • La potenza dello sguardo e del sorriso
  • Joint Attention
  • I codici del corpo
  • Aiutare i bambini
  • Diritto all’errore
  • Docente alleato
  • La Comunicazione
  • Gli stili comunicativi
  • Shock culturale
  • Comunicazione paraverbale
  • Toni e ritmi
  • Le Pause vuote e piene
  • La fonazione
  • La formazione della voce e della parola
  • Baby talk
  • La gestualità simbolica
  • Congruenza tra gesti e parole
  • DAD
  • Inclusione
  • Connessione interpersonale
  • Dispositivi elettronici e Rete
  • Dipendenza dallo schermo
  • Relazione “io-io”
  • Isolamento sociale
  • Hikikomori
  • Cyberbullismo
  • Alfabetizzazione emozionale
  • Intelligenza emotiva
  • Warm – Cognition
  • Amigdala
  • Ormoni dello stress
  • Neuroni inibitori
  • Padronanza del sé
  • Empatia
  • Recitazione quotidiana
  • Docente come attore e regista
  • Gesti positivi
  • Role model
  • Disturbi del neurosviluppo
  • Giustizia vs Uguaglianza
  • Disturbi Specifici dell’Apprendimento
  • ADHD
  • BES