Faenza, ultimi giorni di maggio 2023. Siamo in una zona “rossa”, vale a dire appena dragata, un po’ ripulita da una parte di acqua e fango. Ora i furgoni di Emergency possono portare i primi aiuti.
Prima di tutto acqua, tanta acqua, acqua di quella buona, da poter bere.
Stivali di gomma, pale, badili, vanghe, spingiacqua, picconi, guanti di ogni genere per poter spostare quel fango, che rimarrà incrostato nelle anime dei romagnoli e dei marchigiani.
Un po’ di quel fango è entrato anche nelle ossa e nei cuori di chi non ha vissuto la tragedia in prima persona, ma ne condivide il peso cercando di alleviare, con il proprio aiuto, le spalle di questa gente che non molla.
Dove prima c’era un quartiere, ora c’è fango. Dove prima c’era un giardino, ora c’è fango. Dove prima c’era un parcheggio o un negozio, ora c’è fango. Dove prima c’erano oggetti cari e ricordi, cucine e ricche dispense, ora c’è fango. Dove prima la vita aveva una normalità, ora c’è fango.
Il cuore sanguina, la gola si annoda, gli occhi pizzicano, ma abbiamo un compito ben preciso e siamo pronti a portarlo a termine nel miglior modo possibile. Scendiamo dal furgone, apriamo il portellone laterale e quello posteriore, indossiamo una voce calda e rassicurante e un sorriso smagliante.
Via, si parte.
Salutiamo, ascoltiamo, offriamo caldi abbracci, sguardi rassicuranti, sorrisi. Queste persone meravigliose ci rendono il lavoro fin troppo facile: noi, che dovevamo dispensare comprensione e carezze, ci troviamo immediatamente coinvolti in risate, abbracci riconoscenti, conversazioni profonde, perle di saggezza, ondate di forza.
Sei famiglie, riunite nel cortile del loro condominio, tra la richiesta di un paio di badili e una carriola, ci fanno promettere di ritornare per pranzare insieme. Dall’altra parte di quella che prima era una via, un papà ci chiede un paio di stivali e due bottigliette d’acqua.
Sono in sei e ci chiede due bottigliette d’acqua!
Gliene portiamo tre confezioni. È a disagio. Ci dice di lasciarle a chi ha più bisogno. Insistiamo. Roberto, il nostro driver, modenese DOP, gli dice che dopo di noi, passerà un uomo che ha promesso di trasformare una parte di acqua in vino rosso. Nasce una fragorosa risata e i lineamenti intorno agli occhi, forse per la prima volta, si distendono.
Una signora anziana si appoggia, siamo fianco a fianco, le nostre spalle si toccano, il mio braccio le fa da cuscinetto. Appoggia la testa e sospira, solo per un attimo. Rialza lo sguardo, mi sorride e mi chiede se le ho portato per caso della minestra. Tu non lo puoi sapere e nemmeno lei, ma la minestra per me è un baule ricolmo di affetti profondi, di esperienze intense, di ricordi felici, di infanzia spensierata, di cibo che cura. L’abbraccio forte, mi scuso per non averla con me nel furgone, però ho dell’acqua.
“Va bene l’acqua, allora. Grazie, siete degli angeli.”
Sono giorni che vedo il suo volto e sento la sua voce … sono giorni che progetto di portare della minestra in via De Gasperi.