Viviamo in un mondo di semplificazioni.

Sembra un’affermazione un po’ esagerata?

Con un click possiamo farci consegnare la spesa, la cena, vestiti, oggetti di ogni genere, senza nemmeno dover uscire di casa.

È facile e immediato e a tutti piace così. Giusto?

Queste cose semplificano la quotidianità ed hanno molti lati positivi, ma anche nelle questioni più importanti della vita possiamo skippare la fatica e passare direttamente alla parte più facile?

10 min.

che fatica!

Non tutti si trovano a proprio agio con il freddo.

Ecco, le mie ossa, ad esempio, gradirebbero vivere in un ambiente dal clima temperato, anzi, meglio il caldo costante.

Perché ti dico questo? Per farti entrare per un momento, uno solo – promesso! -, nelle mie scarpe ed immaginarti di sgusciare, in pieno inverno, una domenica mattina presto, fuori da un grosso piumone super caldo per catapultarti, nell’arco di mezz’ora poco più, in una piscina situata qualche paese più in là rispetto a dove abito, attraversando una barriera di freddo e gelo con folate di vento e fiocchi di neve grandi come perle rare.

Ci sei? Freddo vero? Con brividi lungo tutta la schiena, giusto?

Ora che sei nel mio mood, che potrebbe per puro caso corrispondere anche al tuo, vorrei condividere con te alcune domande e riflessioni, che mi sono balenate in testa mentre nuotavo stamani.

Che cosa spinge ogni individuo presente in questa grande vasca di acqua tiepida, a dire il vero è più sul freddino, ad uscire di casa con questo tempo per nuotare? Quali possono essere gli obiettivi di quel signore con la cuffia nera e gli occhialini azzurri? Qual è lo scopo di quella ragazza con una grande bussola tatuata sul braccio? Cos’è che ci accomuna tutti? Passione? Bisogno? Piacere? Fatica? Il mio motivo è uguale o simile a quello di qualcuno qui? Potrei continuare ancora per un po’ … mi ci son volute diverse vasche a stile libero per indirizzare i pensieri.

Ci sono quattro nuotatori agonisti in corsia 4, che sfrecciano avanti e indietro, macinando tempi e metri come non ci fosse un domani. Ecco, loro hanno sicuramente delle performance da ottenere, delle competizioni a cui partecipare, delle qualificazioni da superare, dei risultati da raggiungere.

C’è la signora in corsia 1, che con una serenità ed un sorriso che non mancano mai, con costanza si reca in piscina tutti i giorni e chiede aiuto per potersi immergere in acqua, grazie a una sedia speciale, e muovere armoniosamente tutto il suo corpo, anche quella parte che, una volta asciutta rimane immobile, inerme.

Ci sono due amici nella corsia 8, che fanno qualche vasca e poi si fermano per raccontarsi e se la ridono di gusto in alcuni momenti. Probabilmente il loro obiettivo è quello di coltivare un’ottima amicizia e rilassarsi un po’.

C’è una donna abbronzata e muscolosa nella corsia 5. Lei suscita un certo stupore: entra ed esce dall’acqua ogni dieci minuti per recarsi in spogliatoio, bere dalla sua borraccia, per poi rientrare in vasca e nuotare un po’; il tutto guarnito da un trucco impeccabile, compreso il rossetto rosso fuego. Lo scopo? Il mantenimento di un buon tono muscolare? Testare una bevanda proteica sotto sforzo? Oppure dimostrare la resistenza del trucco in acqua e cloro?

Ci sono madre e figlia nella corsia 2. La prima ex-iperattiva/atleta/irrequieta, che tenta di tenere tonico ed elastico un corpo che ha visto numerose primavere ed infortuni, la seconda un fiore in pienezza, una voglia di muoversi costante e un’eleganza tanto fuori quanto dentro l’acqua da far invidia (in senso buono ovviamente!) a molti. Qui le motivazioni sono diverse, ma si intrecciano armoniosamente in un equilibrio che sa di movimento, piacere, divertimento, rilassamento, ma anche di tempo insieme.

che fatica!

Come vedi anche la piscina può essere un luogo cosmopolita e le motivazioni, che spingono gli individui a recarsi in piscina (o in palestra, in una pista di atletica, lungo le strade, ecc.), possono essere diverse come lo sono i soggetti.

Ma c’è un elemento che, secondo il mio flusso di pensieri (qui mi ci son volute almeno dieci vasche a dorso), fa da collante, è il minimo denominatore comune, è il nastro su cui si infilano tutte le perle colorate: la fatica!

Che cos’è la fatica? Secondo il vocabolario Treccani essa deriva da fatigare – affaticare; è uno sforzo che si compie per svolgere un lavoro, un’attività e “di cui si sente il peso e poi la stanchezza”.

Ricordo che quando le mie figlie erano piccole ed erano impegnate a svolgere delle attività, anche di diverso genere, in momenti di estremo impegno e sforzo, si fermavano, mi guardavano dritta negli occhi e, con uno sguardo intenso e profondo, carico di significato, come solo i bambini sanno fare, mi dicevano: “Mamma, ho fatica!”.

Proprio in questa espressione si legge tutto il carico che ognuno di noi ha, nel nostro vivere giorno dopo giorno, nell’affrontare ciò che la vita ci presenta davanti, nella consapevolezza del peso che portiamo addosso e che è tutto nostro. Sappiamo benissimo che non lo possiamo cedere ad altri, tocca a noi ed è proprio lì, in quel preciso istante che abbiamo la fatica, ci appartiene e siamo consapevoli che è grazie ad essa che raggiungeremo i nostri traguardi, uno ad uno e saremo affaticati alla fine, ma anche soddisfatti di aver raggiunto i nostri obiettivi, i nostri scopi più alti.

Perché tutto questo ciarlare dirai tu. Dove voglio arrivare stavolta? Qual è il fine?

Ecco. Vorrei ragionare con te proprio sulla fatica. Esistono svariati tipi di fatica, ognuno con le proprie caratteristiche, con uno specifico percorso e determinati effetti; affrontarli tutti richiederebbe una serie di articoli al riguardo.

Ciò che ti chiedo di fare con me è soffermarti sulla fatica di imparare. Anche in questo caso dovremmo stare insieme un tempo molto più lungo rispetto alla lettura di questo articolo, perciò ti chiedo di pensare e recuperare nei cassetti della tua memoria dei momenti in cui hai imparato facendo fatica.

Ci sei?

Bene, ora … che cosa è emerso per primo? Quel “ho fatica” di Giulia ed Anna? L’obiettivo raggiunto? La soddisfazione per esserci riuscito? È apparso in superficie qualcosa legato alla vita pratica o allo studio? È stato, per esempio, imparare ad andare in bicicletta senza le rotelle oppure comprendere il pensiero di un grande filosofo? È stato riuscire a compiere con scioltezza una capovolta, magari senza appoggiare le mani, o applicare i teoremi di Euclide e Pitagora all’interno di problemi geometrici complessi?

che fatica!

La chiave di lettura sta proprio nell’esserci riusciti, anche se avendo la fatica addosso. Anzi, il bello sta proprio lì, nel farla questa benedetta fatica! Sì, bisogna benedirla, perché è una grande maestra di vita, è una palestra per sviluppare ed allenare capacità e competenze fondamentali per poter cavarsela da soli nel mondo. Fare fatica ci esercita alla resistenza, alla perseveranza, alla pazienza, alla concentrazione, alla consapevolezza di sé, alla metabolizzazione della frustrazione, alla tenacia.

Fare fatica per raggiungere un obiettivo porta ad assaporare più coscientemente e più durevolmente il gusto della soddisfazione, migliorando l’autostima e rinforzando la motivazione e l’interesse ad apprendere. Imparare attraverso attività sfidanti, che richiedono un certo sforzo ed impegno, permettono di proseguire lungo il proprio cammino formativo, affrontando e superando alcuni ostacoli.

Un altro paio di maniche, invece, sono le emozioni negative che si legano all’apprendimento, i continui insuccessi scolastici (ma non solo!), la frustrazione legata alla percezione di non essere adeguati, la certezza di non essere abbastanza per un mondo adulto che, a volte senza esserne consapevole, con il corpo, con le espressioni del volto, con il tono di voce dice “non sei capace, non fa per te, non sarai mai in grado”. Ma questa è un’altra storia che necessita, soprattutto per la sofferenza e le conseguenze che porta con sé, un tempo ed uno spazio dedicati appositamente.

Bignamiamo un po’ (riassumiamo). Faticare si può, anzi, si deve. Avere fatica fa bene, aiuta a crescere ed è un’ottima palestra per la vita. Evitare la fatica equivale ad evitare di vivere, sostituirsi a chi deve fare fatica porta stress e delusione a chi si fa carico del lavoro e frustrazione, rassegnazione e percezione di inadeguatezza a chi dovrebbe fare lo sforzo (prossimamente parleremo dei diversi tipi di adulti, compreso l’adulto-spazzaneve). Compiere dei lavori, delle attività sfidanti, con un impegno adeguato crea autostima, soddisfazione e ci dice “cerca ancora, che ti fa bene!”.

“Ho fatica, mamma! È difficile!

Lo so Amore, lo vedo lo sforzo che stai facendo. Io sono qui, accanto a te. Ti tengo, vai tranquilla, prova, non mollare.

Va bene mamma, ma tu mi tieni vero? Vero? Mamma? Dove sei?

Dietro di te, di qualche metro … stai andando da sola! E senza rotelle! Brava! Ce l’hai fatta!”

che fatica!